Ottenuto il via libera dalla Lions Gate, Rob Zombie non tardò a mettersi all’opera sul seguito de La Casa Dei 1000 Corpi. Non era del tutto necessario, premettiamolo subito, dal momento che il finale di quel film poteva tranquillamente concludere la vicenda narrata, con la famiglia Firefly ancora bellamente in attività a danno di ragazze pon-pon e malcapitati vari ed eventuali.
Ed invece Zombie ci propina un seguito che stravolge le regole e lo stile del suo predecessore: per ragioni di casting cambiano gli interpreti di Mother Firefly e di Rufus, che probabilmente proprio per queste ragioni rivestiranno ruoli secondari, lasciando spazio al trittico Capitan Spaulding-Otis B. Driftwood-Baby Firefly ed al nuovo arrivato sceriffo John Quincy Widell, fratello dello sceriffo ucciso da Mother Firefly nel primo film.
La Casa Del Diavolo parte senza troppi fronzoli, con una sparatoria tra la polizia appostata nei pressi della fattoria dei Firefly ed i membri della famiglia arroccati al suo interno. Rufus ci rimette le penne, Mother viene arrestata, Tiny è a zonzo trascinando il cadavere di una ragazza, mentre Otis e Baby riescono a fuggire, seguiti dopo breve tempo dal Capitano Spaulding che, come si era già intuito al termine de La Casa Dei 1000 Corpi, è legato alla famiglia da vincoli di parentela, essendo il padre di Baby. I tre si dirigono verso il saloon/bordello di tale Charlie Altamont, che si scopre essere il fratellastro del nostro clown preferito, lasciando dietro di sé un po’ di morte e violenza gratuita, e nel frattempo Wydell, un Pappalardo della polverosa provincia americana, continua a battere qualsiasi pista che possa condurlo al manipolo di delinquenti, che intende eliminare personalmente al fine di vendicare la morte di suo fratello. Risulta quindi evidente che ci si trova di fronte ad una sorta di guardie e ladri, in cui tuttavia ben presto il ruolo delle guardie si trasforma in quello di spietati torturatori ed assassini. Non c’è un ribaltamento dei ruoli, semplicemente ne La Casa Del Diavolo (davvero pessima la scelta del titolo italiano, per inciso) non si salva nessuno, non esiste un Bene, esistono solo varie forme di Male.
La cosa che colpisce sin dai primi minuti è lo stile del film, il cui taglio è nettamente diverso rispetto al debutto di Rob Zombie: dopo la visionarietà e l’irruenza visiva del predecessore, stavolta gli elementi splatter, ancora presenti in giusta misura, si amalgamano in un contesto di stampo spiccatamente western. Già, tutto sommato si può parlare di un western violento e popolato da personaggi strambi, perennemente sopra le righe e dai caratteri sempre iper-marcati.
Al fine di rafforzare questa svolta stilistica, Zombie sceglie una colonna sonora orientata verso il folk/blues ed il southern rock di band immortali quali i Lynyrd Skynyrd: a tal proposito, da citare la sequenza finale accompagnata dalla fantastica Free Bird. Sebbene la vicenda narrata, anche questa volta, non sia esattamente originale o appassionante, ancora una volta la pellicola riesce a funzionare per via di uno stile registico che miscela elementi classici a trovate intriganti, non appiattendosi mai e rendendo il tutto più ritmato e tambureggiante.
La crescita tecnica di Rob Zombie dietro la macchina da presa è evidente, e nonostante le differenze rispetto al predecessore potrebbero portare molti dei suoi sostenitori a storcere il naso, una chance va data anche a questa pellicola.