Quasi ogni cosa detta a proposito di questo film può svelare elementi della trama. Mi limiterò quindi a dire che il regista, di cui avevo visto il precedente Searching, mette in evidenza una certa capacità di costruire la tensione e il dubbio nello spettatore. Quando lo scioglie, con una trovata peraltro non ottimale, la vicenda cambia tono, diventa una storia di sopravvivenza e, in un certo senso, di vendetta.
Solide le interpretazioni delle due protagoniste, Sarah Paulson nei panni di Diane, la madre, e Kiera Allen in quelli di Chloe, sua figlia: sono loro a caricarsi sulle spalle tutto l’impatto emotivo e disturbante del film. Pur attingendo a un calderone di storie che si basano su meccanismi simili, Run mantiene una propria dignità ed efficacia proprio per via del timbro di coerenza estetica e contenutistica che lo caratterizza dall’inizio alla fine. Per mettere in scena il conflitto madre/figlia nel modo più spettacolare possibile, però, viene sacrificata una importante fetta di credibilità. In particolare, questo si evidenzia nel repentino cambiamento del rapporto tra madre e figlia.
Molto fisica e sofferta l’interpretazione di Kiera Allen, attrice realmente disabile e in grado di offrire una prova vigorosa e convincente, soprattutto nelle fasi più concitate.
Curiosità: è presente una piccola citazione di Stephen King. Quando Chloe chiama il centralino, la voce registrata risponde di specificare una città e uno stato, e fa l’esempio di Derry nel Maine. Si tratta di un luogo inventato, nel quale si svolgono alcune storie di King: tra le altre, It, Insomnia, alcuni passaggi di L’uomo in fuga.