Ricordo ancora con i brividi lungo la schiena – e non erano di terrore, credetemi – quando per le strade di Milano, ad inizio primavera del 2011, vidi dei tram decorati con la pubblicità de Il Rito, con tanto di volto di Anthony Hopkins in evidenza a sottolineare la bontà del prodotto. Chi mi segue conoscerà la mia generale sfiducia nei confronti delle pellicole di genere horror molto pubblicizzate e con pomposi lanci cinematografici, vuoi perché le delusioni in diversi casi sono state cocenti, vuoi perché continuo ad adorare un certo horror meno fruibile dalle masse alle quali sono dati in pasto i blockbuster. Comunque, pur con diversi mesi di ritardo, alla fine una visione al film in questione l’ho data, ed è quindi ora di capire la consistenza del prodotto.
La regia di Mikael Håfström è un primo bel segnale, in particolare dopo la convincente prova dietro la macchina da presa in occasione di 1408. Anche in quell’occasione il regista svedese aveva basato la sua pellicola su un libro, o meglio, un racconto; ed ora lo ritroviamo alle prese con un romanzo basato su esperienze reali relative al mondo dell’esorcismo. E questo va sottolineato subito, poiché il film è incentrato sulla filosofia dell’esorcismo più che sull’atto dell’esorcismo in sé, già visto ed affrontato in molteplici pellicole.
Il taglio dell’opera è serio, intenso dal punto di vista emotivo, meno rivolto alla spettacolarizzazione dell’esorcismo ed ai suoi aspetti più ributtanti o blasfemi, tentazioni nelle quali Håfström cadrà fortunatamente in rarissime circostanze. Viene preferito un approccio rigoroso, che viene esaltato dalla presenza di un protagonista scettico e seminarista per forza più che per scelta. Michael viene inviato in una Roma fin troppo piovosa e che non riesce ad essere caratterizzata con molta forza, perdendo molta parte della propria identità. Sarà lì, comunque, che Michael entrerà in contatto con un anziano esorcista, padre Lucas, dai metodi poco ortodossi. Non mancherà il confronto ideologico tra chi crede sulla base della propria esperienza e chi invece non crede per scetticismo ed approccio scientifico alla materia. Tuttavia non si arriva al classico e scontato scontro tra un uomo di fede ed uno di scienza, poiché il padre esorcista non è il prete stereotipato che si riempie la bocca di frasi fatte o di citazioni bibliche, ma anzi ha un atteggiamento disincantato e molto pragmatico.
La vicenda, dai toni oscuri a livello di immagine e dalle tinte non molto forti trattandosi di un prodotto volutamente fruibile da un largo pubblico, trae energia e spinta dal protagonista Michael, la cui storia personale verrà svelata con garbo attraverso episodi chiave che renderanno possibile conoscerlo e capirne comportamenti e reazioni. E la forza della pellicola sta praticamente tutta lì, la credibilità e la profondità emotiva e psicologica del personaggio che caratterizza per intero la vicenda. Sulla realizzazione tecnica c’è davvero poco da dire: giusto taglio e ritmo adeguato, fotografia accurata. E naturalmente la regia ricercata di Håfström, che si conferma un bravo manipolatore di immagini ed utilizzatore di luci ed ombre, grazie alle quali crea situazioni interessanti ed un clima talvolta malinconico ed altre volte inquietante e fortemente caratterizzato dal male.
A mancare, invece, sono la ricchezza e l’approfondimento sui casi di possessione affrontati: sebbene non rappresentino il focus del film, per come vengono presentati finiscono per essere dei puri escamotage per poter discutere di determinati temi e per portare Michael ad una certa naturale conclusione del proprio percorso. Il peccato è non aver avuto un alto livello di cura per il background, perdendo il giusto equilibrio tra le parti: ricchi e sfaccettati i protagonisti, abbozzati i personaggi secondari. La sensazione è che manchi una componente importante, che avrebbe reso più intrigante la vicenda. Per chiudere, una citazione per Hopkins che quando vuole essere cattivo riesce ad esserlo in modo meraviglioso. In definitiva, Il Rito non è la tipica super produzione povera di contenuti e banale, affatto: si tratta di un lavoro curato, opera di un regista molto capace, ma che a conti fatti rischia di essere né carne né pesce sia per chi si aspetta un horror puro sia per chi invece vuole approfondire la propria conoscenza su ciò che orbita intorno agli esorcismi. Ciò non vieta al film di mantenere una discreta presa sullo spettatore, ragione che, unita alla indubbia classe di Håfström ed all’approccio non stereotipato al tema, lo rende un prodotto apprezzabile.