Pontypool è uno di quei film che ripaga dei mesi trascorsi a guardare – per passione e con gusto, per carità – film mediocri, se non peggio, appartenenti al filone horror. Lo fa in maniera sorprendente e inattesa, soprattutto considerando la situazione di partenza, decisamente chiusa e povera, che avrebbe potuto portare verso uno svolgimento debole e noioso. E invece no, perché Bruce McDonald, ispirandosi ad un romanzo di Tony Burgess, tira fuori dal cilindro un prodotto vincente.
La trama è presto detta: Grant Mazzy è lo speaker di un’emittente radiofonica locale gestita da Sidney Briar col supporto tecnico di Laurel-Ann. Il programma mattutino della radio prevede pubblicità di attività commerciali, gossip, informazioni sul traffico e sul meteo, sui bus, e tutto ciò che possa interessare una tranquilla e pacifica cittadina canadese. Il tempo scorre, con qualche discussione tra Sidney e Grant sulle modalità di conduzione del programma da parte di quest’ultimo, e poco altro.
Tutto cambia, però, quando uno degli inviati, Ken Loney, in diretta telefonica racconta di una presunta sommossa nei pressi dello studio del dottor Mendez. Non ci sono altri dettagli, ma la cosa via via pare assumere contorni più gravi, con vittime e feriti, tanto da richiamare l’attenzione della BBC. In tutto ciò, noi siamo bloccati all’interno della sede della radio, non vediamo nulla di ciò che accade dall’esterno e scopriamo le frammentarie e confuse informazioni con loro, ritrovandoci nella stessa identica posizione rispetto ai protagonisti.
Il crescendo di notizie febbricitante dapprima dà modo di intuire un presunto quanto classico zombie outbreak, con centinaia di persone infette che iniziano ad assalire i vivi e a divorarli. In serbo però c’è ben altro: sempre di contagio si tratta, ma si basa sull’uso della parola e sulla comunicazione. In tal senso, basti pensare alla pazzesca comunicazione che a un certo punto irrompe sulle frequenze della radio, e che comunica agli ascoltatori di non comunicare coi propri cari e di non utilizzare determinate parole; oppure a quanto viene raccontato da Ken, che dice di aver visto un “gregge di quei cosi” camminare parlando di sottomarini ed emettendo suoni privi di significato.
Il concetto alla base di Pontypool è incredibilmente ardito ed originale: il contagio avviene mediante alcune parole che, non si sa bene per quale ragione, sembrano mandare in tilt il cervello e le capacità cognitive delle persone. Ogni vittima del contagio ha una parola malata: dapprima inizia ad usarla spesso all’interno delle frasi, poi comincia a ripeterla frequentemente, o a cambiarne alcune lettere, dicendo frasi che diventano via via sempre più sconnesse, fino ad arrivare a ripetere la parola malata e versi incomprensibili. Non solo, sviluppano anche aggressività e attaccano quelli che ancora riescono a comunicare normalmente, attirati proprio dalle loro voci. Da qui anche il sottotitolo del film, Zitto O Muori, dal momento che non emettendo suoni si è al sicuro dagli infetti che sono incapaci di individuare i sani.
Ficcante e pungente, Pontypool disintegra le regole dei film di contagio e assesta un colpo feroce alla società contemporanea, basata in larga misura sulla comunicazione e sulla circolazione e diffusione della parola. Adesso è proprio la parola, e ancora più nello specifico la lingua inglese, la più utilizzata a livello internazionale, ad ingabbiare l’umanità, incapace di comprendere e di comprendersi. Proprio lì risiederà l’antidoto, nel non capire, confondendo la parola malata, in una spiegazione finale concitata e divertente, ancora una volta illuminata ed originale. McDonald, con un budget ridotto, è capace di dar vita ad un horror che spaventa senza dover ricorrere al sangue, agli effetti speciali, alle colonne sonore stridenti o alle apparizioni improvvise. Lo fa utilizzando la parola, che è il cardine, sia salvezza sia dannazione.
Tirando in ballo temi moderni, linguistica e scienze sociali, Pontypool è uno degli horror più intelligenti, intriganti, divertenti, originali e pensanti non solo degli ultimi anni, ma in senso assoluto. Difficilmente sarà in grado di soddisfare le esigenze dei fan dell’horror più puro e classico, per via delle sue scelte forti quanto furbe, ma è innegabile la sua anima indie e ricercatissima. E’ oltretutto impreziosito dall’eccellente prova di Stephen McHattie, dotato di una voce talmente piena e calda da rendere consigliatissima la visione del film in lingua originale. Un prodotto unico nel suo genere, spezza le catene decidendo di non mostrare ma di raccontare con sapienza una storia intrigante che vi terrà incollati al televisore regalandovi brividi, curiosità, risate e qualche riflessione. Gioiello.