Saw rappresenta un po’ un esempio di horror moderno, quelli da mercato di massa e grande distribuzione, ed è il primo capitolo di una saga che ha riscosso (e continua a farlo) un significativo successo commerciale.
Diretto dall’esordiente James Wan e girato in pochissimi giorni e praticamente interamente in un unico ambiente, narra la vicenda di due uomini che si ritrovano prigionieri, incatenati e rinchiusi in una sorta di bagno, in mezzo al quale è disteso un uomo morto apparentemente per suicidio. Nelle loro tasche troveranno ciascuno una cassetta con registrato un messaggio: il dottor Gordon dovrà uccidere Adam entro le 6 per essere liberato e per salvare moglie e figlia.
Il plot si sviluppa da questo punto di partenza, prendendo poi il là e scavando in parte nelle vite dei protagonisti, presentando la figura dell’enigmista come quella di un uomo malato terminale che sottopone a prove delle persone che a suo modo di vedere non apprezzano la vita, ed infilando in mezzo al tutto anche una spruzzata di investigazione e di regia CSI-style.
Il personaggio dell’enigmista gode senza dubbio del suo fascino, in virtù dell’originalità del personaggio in sé (un serial killer che non uccide mai le sue vittime di mano propria, ma che anzi dà sempre un’ancora di salvezza) ed anche degli elementi che lo caratterizzano, come la voce e la maschera, che sono pochi e semplici, ma tutti funzionali. Rimane anche qualche sottile dubbio riguardo alle sue tecniche di rapimento ed alla fattibilità di determinate azioni, ma il punto focale è la psicologia delle “vittime” e dei legami tra di esse, che si intessono e portano a comportamenti inizialmente insospettabili.
In definitiva una pellicola più che sufficiente, che lascia aperte le porte per i seguiti e che lascia agli annali un buon personaggio, che grazie alle sue fantasiose trovate offre quel qualcosa in più ad un film che per costruzione e stile narrativo avrebbe rischiato di passare inosservato.