Dopo la commedia fantascientifica Dark Star, che ne aveva rappresentato il debutto nel mondo del cinema, John Carpenter scrisse e diresse Distretto 13 – Le Brigate Della Morte, sua prima incursione in un genere che ne avrebbe segnato la carriera registica. Va immediatamente specificato che non si tratta di un horror, quanto di un mix tra storia alternativa ed azione, con una componente thriller: già da queste poche informazioni risulta evidente come questo possa essere considerato una sorta di antesignano di 1997: Fuga Da New York.
Un quartiere di Los Angeles, ormai denominato comunemente ghetto, è preda di un’ondata di violenza e criminalità, con una serie di bande di delinquenti animate dall’odio e dal desiderio di uccidere; questa loro inclinazione li porta a schierarsi naturalmente contro tutto ciò che è ordine, contro le regole, e quindi i loro bersagli preferiti sono inevitabilmente i poliziotti. Rimasto ormai praticamente disabitato a causa delle continue sparatorie, il ghetto è la location in cui si svolge l’intero film, che prende il là nel momento in cui un uomo uccide un membro di una banda, a seguito dell’uccisione di sua figlia, appena bambina ed uccisa mentre mangiava un gelato in quella che rimarrà la scena più forte della pellicola. Si innesca quindi un meccanismo di vendetta, e l’uomo riesce a trovare rifugio all’interno del distretto 13 di polizia, che tuttavia è ormai praticamente vuoto ed inattivo in quanto era stato appena trasferito in un altro edificio. Inizia un vero e proprio assalto, ed i pochi poliziotti presenti all’interno del distretto cercheranno in ogni modo di salvarsi, anche liberando e facendosi aiutare da due prigionieri, uno dei quali, Napoleone Wilson, condannato alla sedia elettrica.
Nella baraonda che ne segue emergono molti dei tratti caratteristici del cinema di Carpenter: le telecamere statiche, l’illuminazione minimale, la colonna sonora (da egli stesso composta al sintetizzatore, come per praticamente ogni suo film) ripetitiva al limite dell’ossessività, la notte infinita. Omaggio al western Un Dollaro D’Onore di Howard Hawks, da sempre uno dei principali riferimenti di Carpenter, Distretto 13 è un ritratto di una città aggressiva, dominata da bande spietate che ricordano molto da vicino le orde di zombi dei film di Romero, anche per la totale mancanza di caratterizzazione dei delinquenti, che non parlano mai, il cui volto si vede solo di sfuggita e per pochi secondi durante gli assalti di gruppo e che sono un’autentica massa informe, che si getta anche incontro alla morte senza paura. In questo senso, quasi comiche le sequenza in cui i membri della banda cercano di penetrare nell’edificio attraverso le finestre, mentre il tenente ed i due prigionieri con lui li uccidono uno dietro l’altro, in un autentico tiro al bersaglio.
Professionale e puntuale, Carpenter delinea al meglio i caratteri dei suoi personaggi, che riescono ad uscire fuori in virtù dei pochi ma efficaci dialoghi, e riesce anche nell’intento di dare un discreto ritmo e tiro alle sequenze più prettamente d’azione, mettendo quindi in luce una maturità stilistica apprezzabile considerando la giovane età (girò il film a 28 anni) ed il budget non di certo stellare. Deludente il finale, con un assalto sconclusionato ad opera della brigata che penetra all’interno del distretto in massa, senza più traccia di fucili o armi da sparo, e si fa bloccare da Wilson e dal tenente in virtù di una lastra di lamiera alzata a mo’ di barricata e di due bastoni. In questa sorta di western urbano sono presenti buona parte degli elementi del cinema carpenteriano, che negli anni immediatamente seguenti si sarebbe espresso ai suoi massimi livelli, e rimane una pellicola interessante, nonostante sia figlia del suo tempo.