Eli Roth, visto il successo di Hostel, non tardò a darsi da fare per dare un seguito ad un brand che poteva rivelarsi di buona presa commerciale. Per l’occasione, è riuscito a riunire parte del cast del primo film, nella fattispecie i pochi sopravvissuti, ed ha voluto con sé alcune icone del cinema italiano degli anni Settanta, gente del calibro di Luc Merenda, l’eterno “antagonista” bello di Superfantozzi, oltre che protagonista di una lunga serie di poliziotteschi, di Edwige Fenech, sovrana dei sogni erotici di almeno due generazioni di adolescenti cresciuti con le sue commedie sexy, e di Ruggero Deodato, regista di film di culto quali Cannibal Holocaust e La Casa Sperduta Nel Parco.
Le premesse di Hostel: Part II sono in realtà poco allettanti, perchè per via del concetto stesso che sta alla base del primo film non ci si può aspettare nulla di realmente interessante o nuovo. Così è, infatti, e questo seguito è il più classico “more of the same” che voi possiate immaginare: stessi luoghi, stesse meccaniche. Cosa giustifica dunque il voto, addirittura più alto rispetto al predecessore? Bene, sostanzialmente è un discorso di sensazioni.
Come detto, il contesto è lo stesso: c’è un’associazione che si occupa di catturare persone, adoperando avvenenti ragazze come esche, ed offre le vittime ad un circuito di clienti che, dietro pagamento di una cifra, hanno la possibilità di torturarle come meglio credono. Unica imposizione: la persona catturata deve essere uccisa dal cliente. Dopo la solita parte mediamente lunga fatta di vita giovanile, sballo e provoloni assortiti, ormai diventata una costante del cinema di Roth, il film entra nel vivo e le tre ragazze protagoniste, in viaggio di piacere, si troveranno ad affrontare l’incubo di diventare vittime predestinate. Rispetto al primo c’è una piccola novità tecnologica: i prigionieri, una volta catturati, vengono fotografati e le loro foto vengono fatte girare tramite e-mail ed mms, in modo da avvisare tutti i potenziali clienti. A quel punto si scatena una vera e propria asta online, fin quando qualcuno non riuscirà ad aggiudicarsi la preda. Trovata forse ironica ma non troppo lontana da quella che potrebbe essere la realtà.
Il pezzo forte di Hostel: Part II, tuttavia, sono le sequenze più crude e splatter. A tal proposito, da segnalare assolutamente è la scena con una sorta di Contessa Bathory dei giorni nostri, intenta ad utilizzare una delle tre ragazze protagoniste per poter esaudire il suo bisogno/desiderio di fare un bagno di sangue. La sequenza è realizzata alla perfezione, ed è capace di generare un’ansia ed un senso di sofferenza praticamente fisico nello spettatore, imponendosi come una delle migliori scene splatter del decennio. Insomma, rimane un “more of the same”, ma è un “more” che soddisfa in pieno e che porta alla ribalta un Eli Roth in crescita ed ormai pronto a spiccare il volo.