Bisogna fare una premessa a questa recensione: nel momento in cui si giudica un film appartenente al filone horror, un metro di giudizio fondamentale riguarda la paura che il film è in grado di trasferire allo spettatore, al di là della qualità artistica, della prova degli attori e di tutti gli altri aspetti più puramente tecnici legati alla realizzazione di un film.
Detto ciò, iniziamo con La Casa Nel Tempo un piccolo viaggio che ci porterà a conoscere quattro horror per la televisione commissionati da Reteitalia (attualmente nota come Mediaset) sul finire degli anni Ottanta a due registi italiani, Lucio Fulci ed Umberto Lenzi. Peccato che ai due non fu imposto alcun tipo di paletto, ragion per cui realizzarono quattro pellicole secondo quelle che erano le loro naturali inclinazioni e gusti in fatto di horror. Inevitabilmente, ciò portò alla decisione di non trasmettere i film, giudicati troppo violenti e non adatti al passaggio in tv, se si esclude qualche rete locale che decise di trasmetterli tra il 2000 ed il 2001.
La Casa Nel Tempo è uno dei due film girati da Lucio Fulci, e narra la vicenda di tre ragazzi che tentano una rapina in una villa isolata abitata da una coppia di anziani. Il tentativo finisce in tragedia, con l’uccisione degli anziani e del loro tuttofare, ma qualcosa di strano accade: gli orologi, di cui l’anziano proprietario della villa era accanito collezionista, si bloccano ed invertono la rotazione, facendo sì che il tempo scorra all’indietro, riportando in vita i defunti, che ovviamente cercano vendetta.
Signori miei, a fronte di una recitazione di bassa lega (addirittura imbarazzante quella di uno dei rapinatori) e di alcune falle ed incongruenze legate alla trama, La Casa Nel Tempo riesce nell’intento di incutere paura praticamente in ogni sua sequenza, da quella iniziale al finale, fatalistico ma non banale. Oltremodo inquietanti i proprietari della villa, personaggi tipicamente da horror italiano (e qui prenderei a riferimento il Pupi Avati degli esordi) ed interpretati piuttosto bene.
Evidenti inoltre le citazioni, a partire dal Kubrick di Shining e di Arancia Meccanica, che Fulci si diverte ad omaggiare ribaltandolo completamente, con un interscambio tra vittima e carnefice. Ruoli, tra l’altro, ricoperti da tutti i protagonisti della vicenda, in un’alternanza che spezza il modello dell’omicida e delle sue vittime: qui chi è adesso vittima sarà poi carnefice, e viceversa. Un piccolo classico che un cultore del cinema di genere dovrebbe possedere.