Nonostante io sia un ex grande adoratore di Stephen King – dico ex semplicemente perché ormai non leggo un suo libro da diversi anni, ma all’epoca ne divorai a pacchi – quando ho visto le sue opere trasposte sul grande schermo ho sempre pensato la stessa cosa: quelle trame che su carta mi rapivano e mi intrigavano, al cinema mi sembravano piuttosto deboli. L’unica eccezione, manco a dirlo, è Shining, uno dei rarissimi casi in cui ho trovato il film addirittura superiore al romanzo.
La Metà Oscura si presenta bene, con la regia solida ed esperta di Romero ed una vicenda che richiama per certi versi l’esperienza reale di King: uno scrittore ed insegnante di scrittura creativa, Thad Beumont, fa uso dello pseudonimo di George Stark per pubblicare romanzi violenti che riscuotono un ottimo successo commerciale. Nella sua infanzia, Thad soffriva di emicranie e fu operato il cervello, all’interno del quale i medici trovarono un occhio ed altri segnali della presenza di un gemello che in qualche modo si era sviluppato. Una volta asportato, Thad non aveva avuto ulteriori disturbi, ma il suo gemello non sarebbe mai del tutto sparito…
Scoperto da uno studente del suo corso, che lo ricatta di rivelare il fatto che è lui il famoso George Stark, Thad decide di rilasciare un’intervista dove è lui a comunicare la notizia, e decide di seppellire definitivamente l’uso di quello pseudonimo. Il servizio viene addobbato con pacchiane foto dello scritto e di sua moglie di fianco alla lapide col nome di Stark, ma proprio a partire da quel momento inizierà una serie di delitti le cui prove portano inconfutabilmente a Thad. Il gemello malvagio pretende che inizi a scrivere un suo nuovo romanzo, arrivando a minacciare la sua quiete familiare.
Come si diceva, la trama tocca diversi tasti legati alla vita di King, in particolare il passato caratterizzato dalla dipendenza dall’alcool e l’utilizzo di uno pseudonimo. Inoltre, non nuovo nelle creazioni del narratore del Maine è la presenza di uno scrittore, che gli permette di dar spazio al suo interesse per i meccanismi della nascita delle storie. In apertura affermavo che la forza delle storie di King l’ho vista spesso sparire quando ho visto i film da esse ispirati, e ciò mi ha fatto riflettere sul loro contenuto. Sebbene ricordi alla perfezione l’interesse ed il coinvolgimento coi quali ho letto molti dei suoi romanzi, ho per la prima volta prestato attenzione semplicemente al riassunto delle varie trame, scoprendo che la forza dell’autore non è mai stata nelle geniali intuizioni o negli spunti intriganti, quanto nella sua abilità nel manipolare i personaggi, nel renderli reali e credibili, e nel far sentire il lettore parte di una storia viva. Ciò, però, si perde nelle trasposizioni cinematografiche, e le storie escono fuori in tutta la loro essenza, che a dirla tutta non è sempre convincente.
Tuttavia, Romero compie un ottimo lavoro nel rendere il dualismo Beaumont/Stark, che ho trovato indovinato ed inquietante, e che probabilmente merita di essere evidenziato come l’aspetto migliore del film. Oltre ad esso, impossibile non citare l’ottima sequenza finale, durante la quale si giungerà alla resa dei conti e che, fatalmente, sarà portata a compimento con la matita che Stark usa per scrivere, attraverso Thad, le sue storie. Il tutto terminerà con uno spettacolare assalto ad opera di uno stormo immenso di passeri, che divoreranno letteralmente pezzo dopo pezzo il malcapitato che, tra i due, ci rimetterà le penne.