Da Kevin Smith ci si può aspettare un po’ di tutto: autore di fumetti e di commedie dalle tinte varie, decide di concedersi un tuffo nel cinema più inquietante e carico di tensione con Red State, riuscendo a confezionare un prodotto valido e ben ancorato al modo terrificante di distorcere la realtà da parte dei fanatici religiosi.
Jarod e i suoi due migliori amici, Travis e Billy-Ray, vivono in una cittadina della provincia americana. Alla ricerca di qualcosa di nuovo, entrano in contatto tramite internet con una donna sulla quarantina che li invita a trascorrere una serata da lei a base di sesso di gruppo. Giunti presso la sua roulotte, vengono accolti dalla donna, né attraente né particolarmente affabile, che si limita ad offrire ai ragazzi un paio di birre per poi chieder loro di recarsi in camera da letto per iniziare a spogliarsi. I giovani, alticci ed eccitati, prendono a togliere i vestiti di dosso quando cadono a terra privi di sensi. Si risveglieranno nella Five Points Trinity Church del Pastore Abin Cooper, personaggio ben noto in città per via dei suoi estremismi religiosi. Proprio quella mattina, lui e il suo gruppo avevano organizzato una manifestazione omofobica nel corso del funerale di un omosessuale ucciso pochi giorni prima.
I tre ragazzi non sono gli unici fortunati a poter assistere al sermone del Pastore. Oltre a loro è infatti presente un altro uomo, anch’egli omosessuale, avvolto nella pellicola e fissato alla croce. Cooper tiene la sua predica di fronte ad una dozzina di uomini, donne e bambini adoranti. Il focus del suo lungo sermone, che Smith ci propina per intero con una scelta particolarmente azzeccata, è la descrizione di un Dio vendicativo, non disposto al perdono, come ha dimostrato in vari episodi biblici. Lui ed i suoi fedeli hanno il compito di punire per mano Sua i peccatori e i dannati, coloro che si uniscono carnalmente pur non potendo procreare. Lancia i suoi strali contro internet e le nuove tecnologie, contro l’evoluzione della società che ha portato ad accettare piaghe come il sesso per piacere e la sessualità libera, concetti ormai sdoganati tramite qualsiasi forma comunicativa e mediatica. E quando si avvicina il momento conclusivo, rende chiaro il motivo per cui le loro azioni non sono crimini e non infrangono i comandamenti: se è vero che uno dei dieci dettami sacri sia “Non uccidere”, è altresì vero che esso si riferisca ai propri fratelli, non a un insetto come quello legato alla croce e come i tre ragazzi lussuriosi.
Terminata la predica, si alzano alcuni dei suoi seguaci, che prendono ad avvolgere con della pellicola il volto dell’uomo per poi ucciderlo con un colpo alla testa. Secco e brutale. Lo stile di Smith è asciutto, lascia da parte le colonne sonore, i crescendo tensivi: ti sbatte in faccia il fatto come un cronista, come un osservatore della realtà. E spiazza proprio perché reale. Le reazioni sono credibili, la durezza e la drammaticità della morte sono reali e fisici. Quello che accade dopo la prima esecuzione, però, guasta i piani della combriccola di fedeli: due dei ragazzi riescono a liberarsi e a fuggire, il che farà scattare un inseguimento mortale. Gli spari saranno sentiti dall’aiuto sceriffo, che proprio nel mentre stava parlando col Pastore all’esterno della chiesa. Prova a contattare via radio lo sceriffo, ma viene freddato da uno dei fedeli. La situazione è ormai fuori controllo e vengono chiamati ad intervenire i federali. Si assisterà dunque ad una fase di assalto e resistenza, a nuove morti e a tragiche decisioni, il tutto arricchito dal delinearsi sempre più netto della mania religiosa dei five pointers ed anche dalle trame governative volte a far sì che non rimangano testimoni di quell’episodio. L’ordine è chiaro: uccideteli tutti.
Il finale, oltre a riservare una curiosa e calzante sorpresa risolutiva, regala anche un dialogo tra l’agente federale Keenan, alla guida degli uomini incaricati di gestire quella criticità, e due agenti preposti a giudicare il suo operato. Il dialogo offre spunti di interesse ed un possibile spaccato – critico, piuttosto e anzichenò – di come sia cambiata la percezione e la gestione di alcuni casi negli Stati Uniti dopo il 2001. In generale, i dialoghi nell’intero film sono validi e ricchi di sfumature, probabilmente tra gli aspetti più validi di un film convincente e solido come il granito. Critico in maniera duplice, punta il dito su entrambe le fazioni, nessuno ne esce pulito. Minimale in senso buono, asciutto, privo di orpelli ma con tanta sostanza. Non è un horror in senso stretto, ci aggiriamo dalle parti del thriller venato di azione e fanatismo religioso; i momenti tensivi sono relativamente pochi, manca probabilmente una punta di drammaticità, ma rientra nei canoni di un film dallo stile essenziale e veritiero. Buone, buonissime le prove recitative: Michael Parks è magnetico nei panni del Pastore Abin Cooper, John Goodman addirittura spacca lo schermo nei panni del federale.