Tra le mani di Michael Chaves, già visto in occasione di La llorona, anche la saga principale di The conjuring incappa nella prima, rovinosa battuta d’arresto.
Ancora una volta ci troviamo ad assistere a uno dei casi seguiti dai coniugi Warren, ma a cambiare di netto è anche il tipo di orrore. Dopo due film su case infestate e possessioni demoniache, stavolta il focus sembra virare in parte sull’aspetto quasi legal thriller della vicenda, in parte sulle maledizioni.
Parlo di legal thriller perché la storia è quella di Arne Johnson: reo di omicidio, si difese adducendo le colpe a un’entità demoniaca che lo possedeva al momento del delitto. Tuttavia, dopo una fase di setup che in apparenza lascia pensare che sarà il perno della narrazione, il film si incunea nel classico soprannaturale fatto di apparizioni, visioni e battute increedibilmente ingenue e trite. Anche gli attori, in particolare Vera Farmiga, sembrano meno convinti.
A mantenere la coerenza con la serie, c’è l’amore tra i due, sebbene alla lunga risulti stucchevole. È l’amore la forza in grado di sconfiggere il male.
Impalpabile dal punto di vista della tensione, a mancare è anche la mano nel girare le sequenze più orrorifiche, nonché la capacità di spezzare la tensione con scene di intermezzo comunque godibili. Si sente tremendamente l’assenza di James Wan dietro la macchina da presa: a parità di materiale narrativo, sono certissimo che avrebbe dato vita a un film dalla visione molto più nitida, oltre che meglio diretto.
Tra le pochissime cose da ricordare, lo scambio su Elvis Presley (che torna a essere citato, dopo essere stato anche cantato in The conjuring – Il caso Enfield).