Con Norwegian wood, Murakami si cimenta per la prima volta con un romanzo di stampo realistico, mettendo da parte gli elementi surreali che ne hanno caratterizzato gran parte della carriera letteraria. Toru Watanabe è un diciannovenne che vive in un collegio a Tokyo, dove frequenta senza troppo entusiasmo l’università. Racconta in prima persona la sua storia, ma lo fa circa vent’anni dopo rispetto agli eventi narrati. Il narratore, infatti, si colloca nel periodo in cui il romanzo è stato scritto, quindi tra il 1986 e il 1987, mentre gli eventi raccontati si svolgono tra il 1969 e il 1970, in un periodo di agitazioni e proteste studentesche.
Questa scelta aumenta il grado di malinconia che permea la storia, poiché è un uomo alle soglie dei quaranta anni a rievocare un periodo particolarmente significativo della sua vita, quando cioè ha conosciuto i dolori e gli amori supremi, quelli che con un’intensità così forte sembrano essere possibili solo in un’età ancora immatura. Il romanzo si colloca a cavallo tra la storia di formazione e il sentimentale, e dopotutto è quasi inevitabile che i due elementi si intersechino, poiché uno degli aspetti primari della formazione di un individuo è proprio la sua esperienza coi sentimenti, in particolar modo quelli estremi e totalizzanti.
Assistiamo alle vecchie e nuove conoscenze di Watanabe, personaggi tratteggiati con ricchezza e un tocco di originalità: infatti, se spesso i personaggi di Murakami risultano anomali e strambi, riescono comunque ad apparire autentici, concreti. Ciò che fanno e che dicono, anche le cose più assurde, è sempre credibile e coerente rispetto alla natura stessa del personaggio. Assieme a lui, e alla sua rievocazione dei fatti, conosciamo Naoko e Midori, due figure femminili fondamentali per la sua formazione, ma anche i personaggi secondari risaltano ed escono dalla pagina: si pensi a Nagasawa, novello Gatsby, o a Sturmtruppen, compagno di stanza indimenticabile pur comparendo per poche pagine prima di sparire.
La trama è esile, poco centrale rispetto allo sviluppo del romanzo. Si potrebbe dire che quasi non esiste: Norwegian wood è una sequenza di eventi e di lunghi dialoghi, attraverso i quali i personaggi raccontano storie e ferite, aspirazioni e paure; come nella vita vera, la sequenza di avvenimenti non è frutto di uno schema predefinito, non c’è la necessità di cogliere un senso o un messaggio. Le cose accadono, quelle belle e quelle dolorose, e nell’accompagnare Watanabe possiamo riconoscere i patimenti, i dubbi e le speranze di qualsiasi giovane uomo si trovi alle prese con la crescita e con tutto ciò che essa comporta.
La lingua di Murakami, nonché la sintassi (per quanto senso possa avere parlarne nel contesto di una traduzione), non è elaborata al punto da risultare complessa, ma non è troppo semplice da risultare piatta. Ci sono livelli di significato che possono essere colti con una riflessione in più, e stimoli di questo tipo sono frequenti, rendono la lettura frizzante. Probabilmente questo è uno dei motivi che rende il romanzo scorrevole e additivo: la lettura scivola via e, pur senza sobbalzi dettati dagli eventi, richiama continuamente il lettore, lo attira a sé e lo avvinghia.
Ritornano diversi elementi classici dell’autore giapponese, come gli espliciti riferimenti culturali, quasi tutti di stampo occidentale, dalla letteratura (Faulkner, Fitzgerald, Mann) alla musica: proprio quest’ultima è centrale, non a caso è un brano dei Beatles a dare il titolo al romanzo. Anche il suo sistema di simboli è presente, seppur in misura ridotta rispetto ad altre opere interamente fondate su di esso.
Non esiste un lettore ideale per Norwegian wood: può piacere a lettori di ogni età e gusto, il taglio lo rende appetibile tanto ai più giovani, che qui ritroveranno tutte le incertezze tipiche dell’età ma anche i suoi potenti slanci, quanto a un pubblico più adulto, che potrà rievocare momenti della giovinezza con un misto di tenerezza e di malinconia.