Dopo il discreto successo di 28 Giorni Dopo, si giunse inevitabilmente alla pianificazione di un sequel, che arrivò nel 2007 col titolo di 28 Settimane Dopo, ad indicare una continuity col precedente. Interessante sin da subito, in effetti, poiché il seguito sviluppa ed amplia la portata del primo capitolo andando ad investigare la situazione dell’epidemia a distanza di quasi sette mesi dalla sua esplosione. Peccato, tuttavia, che il tutto sia innescato da quello che può essere considerato a ragion veduta come un’autentica scusa per girare un nuovo film e, con quasi totale certezza, di un ulteriore seguito ad una distanza di tempo ancora maggiore.
A parziale discolpa, tuttavia, si può addurre una progettazione che sin da questo capitolo lascia spazio a sviluppi su larga scala e nel tempo a venire, mentre, come già detto, la realizzazione di questo film risulta essere forzata rispetto ad una trama che poteva tranquillamente concludersi col primo episodio girato dal buon Danny Boyle. Proprio dietro la macchina da presa troviamo una novità, in quanto Boyle lascia il posto alla new entry Fresnadillo, autore di una prova dinamica e talvolta volutamente concitata nelle scene di maggiore azione e panico, durante le quali si ha quasi l’impressione di assistere ad un documentario.
In seguito alla morte per fame degli infetti, il virus sembra essere debellato, e l’esercito della NATO ha allestito in un quartiere di Londra un centro all’interno del quale vengono ospitati i pochi superstiti e gli inglesi che durante l’epidemia si trovavano all’estero, e che pian piano stanno rientrando nel proprio Paese. Tra coloro che ritornano a casa vi sono Tammy ed il fratellino Andy, che a Londra ritrovano il padre, Don, il quale racconta loro le circostanze della morte di sua moglie, uccisa dagli infetti sotto i suoi occhi. I figli decidono di violare i limiti della zona sicura per tornare alla loro casa, dove trovano la madre viva ma in stato confusionale. Risulta dunque palese la menzogna raccontata dal padre, che come noi già sappiamo è in realtà fuggito mentre la moglie veniva assalita dagli infetti, senza provare a salvarla. L’esercito li trova e li porta all’interno della zona sicura, dove la donna viene sottoposta alle cure necessarie.
In tutto ciò, un’epidemiologa scopre che il sangue della donna contiene il virus, eppure, nonostante ciò, non è stata infettata, rendendola quindi il primo caso di portatrice sana del virus in questione. Questa scoperta avrebbe potuto portare alla realizzazione di una cura in grado di debellare la malattia, ma il capo dell’esercito preferisce eliminare qualsiasi forma di pericolo uccidendo la donna. Tuttavia, Don riesce a vederla, ed il bacio che scatta tra loro due gli provoca l’inevitabile infezione. Il morbo inizia nuovamente a diffondersi, e l’esercito ricorre al codice rosso che prevede il bombardamento di Londra. Si scatena quindi una lunga e concitata fuga da parte di Tammy, Andy, il sergente Doyle e l’epidemiologa Scarlett, nel tentativo di portarsi in salvo dalla messa a ferro a fuoco della città da parte dell’esercito da un lato, e dall’inarrestabile proliferazione di nuovi infetti dall’altro.
Più che puntare alla ricreazione di atmosfere inquietanti o di situazioni cariche di tensione horror, la pellicola, per sua stessa natura, è incentrata sul dinamismo e l’azione, con ritmi rapidi e sequenze concitate volte a far vivere allo spettatore un tentativo praticamente impossibile di portarsi in salvo in una situazione estrema. Questo comporta inevitabilmente un’assenza pressoché totale di elementi di fascino o di accesa emotività, a fronte invece di un’azione forsennata e continua. Ancora vincente l’idea degli infetti, che ricordano da vicino gli zombi ma dai quali differiscono per una semplice caratteristica: questi sono fottutamente veloci ed affamati di carne umana. Il finale apre delle buone possibilità per il già annunciato seguito 28 Mesi Dopo, che porterà la contaminazione ad un nuovo stadio e che probabilmente vedrà il rientro in cabina di regia di Danny Boyle. Per ora, ci si può decisamente accontentare di un film magari non capace di catturare completamente o appassionare, ma che funziona e ricrea una Londra tragicamente apocalittica.