In un’epoca in cui il tema del sovrappopolamento è sempre più centrale nel dibattito pubblico, è interessante come a gettare una sinistra luce sulle possibili conseguenze sia l’Universo 25, un esperimento risalente a circa sessanta anni fa.
Dalle conclusioni tratte dall’esperimento, è possibile trarre insegnamenti su quali potrebbero essere le conseguenze di un sovrappopolamento mondiale portato al suo limite massimo.
Lo scopo dello scienziato che ideò l’Universo 25 è rispondere a una domanda: cosa succede in una popolazione di mammiferi messa nelle condizioni di proliferare, al sicuro dalle malattie e con le risorse alimentari e ambientali ottimali?
Universo 25
Tra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Settanta, l’etologo statunitense John B. Calhoun condusse una serie di esperimenti volti ad analizzare le conseguenze del sovrappopolamento. Quello conclusivo prese il nome di Universo 25.
Calhoun perfezionò la costruzione di un ambiente ideale per favorire lo sviluppo di una colonia di roditori:
- cibo e acqua illimitati
- assenza di predatori
- temperatura ottimale
- presenza di spazi adatti alla costituzione di rifugi
Una vera e propria utopia per topi, il cui scopo era osservarne l’andamento demografico, sociale e comportamentale.
Le condizioni di partenza erano le migliori possibili. Universo 25 era il mondo ideale, privo di ogni possibile causa di mortalità per la colonia di topi. L’osservazione iniziò il 9 luglio 1968, con l’introduzione nell’Universo 25 di quattro coppie di ratti albini, tutti nati da 48 giorni. Ciò che accadde può essere riassunto in quattro fasi distinte, individuate da Calhoun nell’articolo Death squared: The explosive growth and demise of a mouse population (clicca qui per l’articolo originale) del 1973.
Fase A – adattamento
La prima fase della convivenza fu caratterizzata da una certa turbolenza, dettata innanzitutto dall’adattamento alla convivenza e all’ambiente circostante. Una volta che furono determinati i ruoli sociali di ciascun individuo, i primi cuccioli nacquero dopo 104 giorni.
Fase B – crescita demografica esponenziale
Superata la fase dell’adattamento, la popolazione iniziò a crescere in misura esponenziale. Ogni 55 giorni la numerosità della colonia di roditori raddoppiava.
La distribuzione delle nascite fu irregolare: in alcuni settori del recinto nascevano pochissimi cuccioli, in altri invece ne nasceva un numero molto alto. Ciò avvenne perché alcune femmine in età fertile si concentrarono in nidiate. Questo mette in evidenza due caratteristiche di un sistema sociale chiuso: la simmetria bilaterale e la gerarchia dei gruppi.
Ogni nidiata era associata a un maschio territorialmente dominante in una specifica area del recinto. Il maschio più dominante era sempre associata alla nidiata che produceva le cucciolate più numerose.
Al termine di questa fase, i gruppi sociali organizzati avevano occupato tutto lo spazio fisico più desiderabile. I cuccioli ricevevano cure materne e sperimentavano una socializzazione adeguata. La numerosità dei giovani era circa tre volte maggiore rispetto a quella della popolazione adulta e vecchia. Questo numero era assai più alto di quello che si sarebbe verificato in un contesto naturale, con una normale mortalità ambientale.
Fase C – stagnazione
Il tempo per raddoppiare il numero di individui salì da 55 a 145 giorni.
In un contesto naturale, se raggiunge la maturità un numero di giovani individui abbastanza alto da non trovare un ruolo sociale da ricoprire, il numero in eccesso compie una migrazione. Questo non era possibile nell’esperimento di Calhoun: la conseguenza fu che i maschi che fallirono nella loro lotta per acquisire un ruolo sociale ebbero effetti sia fisici che psicologici. Diventarono inattivi, raggruppati nella zona centrale del recinto, senza cercare interazioni.
Tuttavia, tale popolazione iniziò a presentare ferite e cicatrici causate dagli attacchi di altri topi che vivevano questa condizione di esclusi: era sufficiente che due maschi si allontanassero per mangiare o bere e tornassero nell’area occupata dai soggetti inattivi per scatenare nervosismo e attacchi. Ormai disabituati anche alla fuga, i topi rimanevano inerti a subire attacchi e ferite, a volte quasi senza reagire. Le femmine dei maschi esclusi iniziarono a ritirarsi nei nidi più alti, quelli meno appetibili per le femmine incinte o con cuccioli.
Fogna del comportamento
I maschi dominanti cominciarono ad avere difficoltà a rintuzzare gli attacchi della moltitudine di giovani adulti, finché gli spazi di dominio territoriale si ridussero al punto che i rifugi delle femmine si ritrovarono privi di difesa. Ciò le rese aggressive, portandole ad assumere il ruolo del maschio dominante e spingendole ad attaccare anche i cuccioli. Questo comportamento costrinse i piccoli ad abbandonare il rifugio molto più presto rispetto al normale periodo di svezzamento.
In questa fase, i concepimenti diminuirono e aumentò il numero di riassorbimenti dei feti. I comportamenti materni subirono una disgregazione: oltre agli attacchi, i cuccioli venivano spesso trasportati da un rifugio a un altro; in qualche caso, venivano abbandonati lungo il tragitto.
Come conseguenza di questi comportamenti, l’aumento della mortalità infantile fu alla base della riduzione nel tasso di crescita della popolazione.
All’insieme di disgregazioni comportamentali tipiche di questa fase e della successiva, Calhoun diede il nome di fogna del comportamento.
Fase D – morte
La crescita demografica cessò di colpo a partire dal giorno 560. Le gravidanze diminuirono enormemente e non sopravvisse nessun cucciolo. L’ultima nascita avvenne il giorno 920, dopodiché ci fu una continua diminuzione della popolazione fino a raggiungere gli zero individui. Ciò andava contro la teoria secondo la quale quando una popolazione regredisce fino a pochi individui, quegli individui diventano le fondamenta di una nuova crescita.
Le cause erano già risultate evidenti nella fase precedente. I piccoli venivano mandati fuori dai nidi senza aver costruito connessioni affettive, catapultati in una società sovraffollata che rendeva complicate le interazioni sociali. Ciò condusse al fallimento della maturazione di comportamenti sociali complessi, come quelli coinvolti nel corteggiamento e nella maternità.
Calhoun individuò delle categorie specifiche. Definì belli i maschi delle femmine che non si riproducevano: non avevano approcci sessuali con le femmine e non combattevano con altri maschi, pertanto non presentavano ferite e cicatrici. Il loro comportamento si limitava a mangiare, bere, dormire e tenersi puliti, senza interazioni sociali al di là della contiguità dei corpi.
Alcuni individui delle fasi finali della colonia furono spostati in un altro ambiente controllato e non sovraffollato. Tuttavia, nonostante le diverse condizioni, non mostrarono capacità di riorganizzarsi socialmente, né tentarono di riprodursi.
Conclusioni
Le osservazioni di Calhoun sono accompagnate da alcune riflessioni che si estendono a tutti i mammiferi i cui membri formano gruppi sociali.
La riduzione delle cause di morte naturale culmina nella sopravvivenza di un numero eccessivo di individui che hanno la potenzialità per occupare i normali ruoli sociali propri della specie. Tuttavia, nell’arco di poche generazioni tutti i ruoli nell’intero spazio fisico a disposizione sono occupati. A questo punto, la competizione tra gli adulti maturi e pronti e i membri più vecchi che ricoprono i ruoli diventa così violenta tra disgregare i normali comportamenti sociali.
L’alto tasso di contatti frammenta ulteriormente tali comportamenti: infatti, al fine di massimizzare la gratificazione derivante dai contatti sociali, l’intensità e la durata dell’interazione sociale deve essere ridotta in proporzione a quanto la numerosità della popolazione eccede l’ottimo.
In questo scenario, emergono soggetti in grado di portare avanti le attività per la sopravvivenza fisica e nient’altro. Calhoun afferma che il loro spirito è morto, riferendosi a questa come alla prima morte (e sottintendendo che la seconda sia quella fisica). Non sono più in grado di mettere in campo i comportamenti complessi necessari alla sopravvivenza della specie, che è quindi destinata all’estinzione.