Non lasciatevi scoraggiare dalla colorita etichetta di vampira di Barcellona: quella di Enriqueta Martì è una storia autentica che, seppur inquinata da qualche elemento quasi mitologico, affonda le radici in una Barcellona di inizio XX secolo ben diversa dall’immagine di città solare e allegra che siamo soliti associare al capoluogo catalano.
Qualche nota biografica introduttiva: Enriqueta Martì Ripollés nasce a Sant Feliu de Llobregat, a pochi chilometri da Barcellona, nel 1868. La sua è una famiglia poverissima e la sedicenne Enriqueta decide di trasferirsi nel capoluogo catalano per tentare la fortuna. Dopo un periodo trascorso a lavorare come donna delle pulizie, seguendo le orme della madre, comprende che ha più possibilità di guadagnare prostituendosi. È proprio nei bordelli che entra in contatto coi desideri più inconfessabili degli uomini del tempo, talvolta esponenti dell’alta società cittadina.
Tutte le fantasie e le confessioni raccolte in quei primi anni di meretricio si sedimentano nella mente perversa di Enriqueta, non abbandonandola neanche quando, ventenne, si sposa col pittore dallo scarso successo di nome Juan Pujalò. Le poche rendite delle sue nature morte fanno sì che ben presto la ragazza riprenda la sua attività di prostituta, nonostante l’opposizione del marito. Riprende a frequentare i bordelli e a raccogliere le macabre perversioni di uomini ricchi e potenti, che diventeranno di lì a poco i suoi clienti in tutt’altro tipo di commercio.
La donna, tuttavia, non si accontenta di avviarsi a tale attività illecita. Coperta da diversi uomini di spicco della Barcellona di inizio Novecento, e perciò quasi immune ai tentativi della polizia di smascherare i suoi traffici loschi, Enriqueta inizia ad affiancare all’attività di prosseneta anche quella di fattucchiera. In un’epoca di forte diffusione di malattie quali la tubercolosi, e di una pressoché totale ignoranza e faciloneria alle più disparate credenze popolari, le creme, le pozioni e gli unguenti preparati dalla donna si diffondono sempre di più. Gli ingredienti di tali miracolosi prodotti erano ricavati, ancora una volta, dai bambini: quelli selezionati per tale scopo venivano uccisi e dissezionati, sfruttando il sangue, il grasso, i capelli e le ossa macinate fino a diventare polvere per gli strambi intrugli preparati da Enriqueta, ormai denominata come la vampira di Barcellona per via della credenza che lei stessa si nutrisse del sangue dei bambini che uccideva.
Sebbene ciò non sia dimostrato, non è da escludere che Enriqueta praticasse anche il cannibalismo. A colpire del suo modus operandi non è tanto la ferocia, quanto un’assoluta mancanza di remore morali. Spinta e incoraggiata dalla richiesta da parte di uomini ricchi che le assicuravano protezione, la donna entrò in un vortice macabro e amorale dal quale non uscì più. Fu fermata nel 1912, quando una bambina scomparsa di nome Teresita fu vista da una donna che viveva di fronte a una delle case di Enriqueta.
Teresita Guitart Congost, di cinque anni, era figlia di un uomo popolare e amato. La sua scomparsa non passò inosservata come quella di molte delle altre vittime della vampira. Fu la spinta per risolvere il caso e per porre fine a quel lungo periodo di terrore nel rione popolare del Raval. L’assassina seriale più nota della storia della Spagna fu incarcerata e condannata a morte, ma l’esecuzione non avvenne mai. I documenti ufficiali raccontano di una morte naturale avvenuta in cella, per cancro all’utero; ma già ai tempi erano molte le voci che volevano invece che Enriqueta fosse stata massacrata dalle sue compagne di cella come punizione per i suoi orrendi crimini.
Per chi volesse approfondire la vicenda, consiglio la lettura del romanzo La Maledetta di Marc Pastor (disponibile qui), un detective che lavora per la polizia scientifica di Barcellona e che ha ricostruito la vicenda. Tra le note interessanti, racconta che nel 1901 la donna si trasferì per circa tre mesi a Maiorca, dalla quale fu costretta a fuggire in quanto gli abitanti della città la volevano morta. È facile immaginare che il motivo sia lo stesso per il quale è divenuta tristemente nota come la vampira di Barcellona.