Negli scorsi giorni si è consumato quello che potremmo definire un vero e proprio caso Gomorra. C’erano state, qualche settimana fa, polemiche dovute ai temi trattati e alla mancanza di riferimenti positivi. Quest’ultimo aspetto in particolare finisce per portare gli spettatori a parteggiare per personaggi estremamente negativi. Tutta la dialettica che ne è conseguita, innaffiata di retorica e perbenismo, è nulla in confronto a quello che è avvenuto dopo la messa in onda dell’ultima puntata.
Non avevo seguito la prima stagione di Gomorra, per vari motivi. Non ho un abbonamento a Sky, non ho interesse per le storie di criminalità e, ai tempi, non ero ancora entrato nel vortice della serialità. Qualche settimana fa, sentendo un po’ di persone nella mia cerchia parlarne sempre più spesso, ho iniziato a vedere la prima stagione, e ieri ho finito di guardare la seconda. Non un tempo da record, ma niente male.
Per la realizzazione di Gomorra l’investimento è stato importante ed è stato ripagato da una messa in scena di buona qualità e, cosa fondamentale, da una risposta di pubblico incredibile. Con la seconda stagione si è arrivati ad avere oltre il 60% in più di spettatori rispetto alla prima. Dati alla mano, stiamo parlando di un incredibile successo. Personalmente non mi ha fatto impazzire la dinamica narrativa, che qua e là presenta dei difetti palesi. Ci sono personaggi che spuntano nel momento giusto per risolvere nodi della trama, meccaniche e reazioni non sempre chiare e ben raccontate.
Tuttavia, resta un affresco complessivo davvero drammatico della realtà che narra. Non conoscendola in prima persona non posso esprimere un giudizio, ma diversi episodi suonano fin troppo simili a casi di cronaca realmente avvenuti. Risulta quindi molto potente a livello di contenuti, e inoltre gli sceneggiatori hanno costruito bene il trittico di protagonisti. In qualche caso sono stati trascurati alcuni personaggi secondari, ma per la maggiore il lavoro svolto è stato imponente e di buon livello.
Il caso (spoiler)
Il motivo di questo post non è però una disamina della serie, dei suoi pregi e dei suoi difetti. A seguito della messa in onda, lo scorso 14 giugno, degli ultimi due episodi della seconda stagione, si è scatenato sui social network – e dove sennò? – un violento attacco nei confronti del malcapitato Fabio De Caro. Il personaggio da lui interpretato, Malammore, nell’ultima puntata si macchia di un orrendo crimine: l’uccisione di una bambina.
Nel cinema abbiamo assistito ad atrocità di vario genere e abbiamo già avuto modo di seguire la carriera criminale di illustri personaggi. Non credo ci sia nemmeno bisogno di scomodare registi iconici come Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e Brian De Palma per ricordare che nessuno, a mia memoria, si sia mai lamentato di ciò che mettevano in scena in film come Il Padrino, Quei Bravi Ragazzi o Scarface.
Invece, l’episodio che ha visto protagonista De Caro ha dell’incredibile. L’attore è stato bersagliato sul suo profilo facebook, ricevendo una marea di insulti personali e minacce. Pare siano arrivati a citofonargli a casa e a intimidire i suoi familiari. Potremmo chiuderla con un “eh vabbé, sono degli stupidi”. Penso però che non sarebbe sufficiente a capire come si possa arrivare a reazioni così spropositate e mal direzionate.
Quello che emerge è come un fetta di pubblico non sia capace di scindere il personaggio dall’attore. È una “deformazione” classica, se ci pensate. Qualcuno vede Sylvester Stallone e dice “ecco Rocky” o “oh guarda, c’è Rambo”.
In tanti finiscono per identificare l’uomo, l’attore, col personaggio di finzione che interpreta. È la prima volta, però , che si arriva ad attaccare sul personale una persona che ha fatto semplicemente il suo lavoro. E non perché lo abbia fatto male o perché sia un attore scarso. Fabio De Caro ha subito un linciaggio social perché il suo personaggio compie un atto crudele. Questo caso apre infiniti scenari di discussione, che non possono non toccare un tema centrale: il livello culturale degli spettatori. Sarà magari antipatico e snob, ma non si può evitare di rifletterci su.
L’altro, annoso aspetto riguarda il fatto che oggi tutti possano esprimersi con molta più facilità, veicolando il proprio messaggio a un vasto pubblico. Non penso che si sia abbassato il livello culturale medio della popolazione. Piuttosto, sono dell’idea che quarant’anni fa la gente aveva un solo modo per lamentarsi con un regista, uno scrittore, un attore: scrivendo una lettera privata. E in quanto tale, era difficile scatenare un putiferio virale, cosa che invece oggi si riesce a fare con hashtag e vere e proprie campagne.
Nonostante l’episodio faccia poco onore alla parte di pubblico che si è scagliata contro De Caro, malignamente va detto che, tutto sommato, è grasso che cola nella macchina pubblicitaria di una serie di crescente successo, già rinnovata per una terza e per una quarta stagione.