Il gatto a nove code (1971)

Anno di uscita
1971
Titolo originale
Il gatto a nove code
Regia
Dario Argento
Genere
giallo
Cast
Karl Malden, James Franciscus, Catherine Spaak, Tino Carraro
Durata
106'
Paese
Italia
Voto
6

Il secondo capitolo della cosiddetta “Trilogia degli animali” segue di un anno l’uscita de L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo, del quale mutua la forma costitutiva del giallo/thriller in voga in quegli anni in Italia.

Realizzato in virtù della co-produzione ad opera dell’americana National General, memore del buon successo del primo film del regista romano, Il Gatto A Nove Code riprende gli stilemi ed i codici che proprio il suo predecessore ed alcune opere di Mario Bava avevo provveduto a definire, non spostando in là i confini del genere come sarebbe avvenuto di lì a poco nella carriera di Dario Argento.

La vicenda, neanche a dirlo, riguarda una serie di delitti legati in qualche modo ad un istituto che si occupa di ricerca nel campo genetico. A seguito di un tentativo di furto, del quale gli inquirenti non riescono a capire l’obiettivo visto che apparentemente nulla è stato trafugato dall’istituto, viene ucciso uno degli scienziati ricercatori, e da lì in poi tutti coloro i quali saranno direttamente o indirettamente coinvolti con le indagini. In sostanza, la sequenza di delitti è stata ordita in maniera tale che ogni qualvolta un personaggio scopre l’identità dell’assassino ed è in procinto di comunicarlo, venga ucciso. In tal modo, Argento riesce a prolungare le indagini che, come da tradizione nei suoi film, quasi mai vengono seguite dal punto di vista delle forze dell’ordine e delle organizzazioni preposte ad indagare. Argento, invece, preferisce proporre allo spettatore un uomo comune, nel caso specifico un giornalista che si occupa della cronaca relativa al caso, il quale si troverà via via sempre più coinvolto nelle indagini e nelle ricerche, scavalcando in certi casi o al più collaborando con la polizia.

Il cast di personaggi è variegato, quasi pittoresco: si va dal poliziotto che parla solo di ricette culinarie al fotografo romano, da Gigi detto “scalogna”, il ladro genovese, all’enigmista cieco che vive con la nipotina Lori, fino al barbiere siciliano. Ed è proprio in una sequenza in cui è coinvolto quest’ultimo che Argento dimostra un talento innato per la creazione della tensione, sfruttando anche meccanismi e situazioni banali: il barbiere sta radendo il giornalista Carlo Giordani – interpretato da James Franciscus, reduce dal successo de Il Pianeta Delle Scimmie – e nel mentre commenta la notizia secondo la quale l’assassino potrebbe essere un barbiere in virtù dell’abilità nel maneggiare i rasoi. Il connubio tra le sue parole, le inquadrature strette sul collo del giornalista ed i rumori amplificati del rasoio sulla pelle creano un notevole disturbo, nonostante la situazione sia in realtà innocua.

A fronte di ciò, però, va notato come in realtà i meccanismi della tensione legati all’intera vicenda risultino deboli. Come detto, si assiste alle fumose indagini compiute da Giordani, con la collaborazione di Franco Arnò, l’enigmista cieco che casualmente aveva ascoltato un discorso tra due uomini in auto davanti all’istituto proprio la sera in cui si era poi verificato il tentativo di furto. Di volta in volta, ogni personaggio che sta per rivelare la verità ad uno dei due viene prontamente ucciso con un tempismo a dir poco perfetto. Il mistero non coinvolge mai più di tanto lo spettatore, per via di una vicenda tutto sommato vuota di eventi di reale interesse ed anche per via di una banalità di fondo che si rivelerà anche nella spiegazione finale.

Un giallo lineare, non stuzzicante per la mente e privo del mordente del suo predecessore. Argento tenta di rendere più saporita la pietanza condendola con una liaison tra Giordani e la figlia del proprietario dell’istituto, interpretata da Catherine Spaak, e come da sua tradizione si dedica personalmente all’esecuzione dei delitti: infatti, le mani che operano le uccisioni sono sempre quelle del regista. A proposito degli omicidi, iniziano ad essere più presenti su schermo rispetto al film precedente, ma tuttavia non sono ancora sanguinosi o efferati, ad eccezione della prima morte che avviene sotto un treno: si tratta per lo più di strangolamenti effettuati con una lunga cordina e che fa scaturire dubbi in virtù dell’eccesso di distanza tra carnefice e vittima, che in teoria in quel tipo di situazione dovrebbe avere più opportunità di divincolarsi.

Come il voto e la recensione hanno già chiarito, la seconda prova registica di Dario Argento non brilla quanto la prima. Senza rivelare nulla, anche la spiegazione finale e la scoperta dell’autore dei delitti lascia un po’ di amaro in bocca, poiché nel corso della pellicola nessun elemento viene lasciato affinché lo spettatore possa costruirsi una propria idea. Inoltre, molto lineare la sequela di delitti e le indagini, a differenza di ciò che lo stesso Argento avrebbe proposto di lì a poco col suo capolavoro indiscusso, Profondo Rosso, e la sua costruzione a mosaico.

Il gatto a nove code (1971)
Voto del redattore
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