Una nuova produzione di genere firmata da un regista italiano, in grado di arrivare nelle sale cinematografiche nazionali, è un evento, se non da festeggiare, quantomeno da tenere in debita considerazione. Stefano Bessoni imprime su pellicola una vicenda dai caratteri gotici, che scava nel torbido passato dei protagonisti ed ancora più indietro, risalendo a degli strani esperimenti in bilico tra scienza ed alchimia.
Ambientato in una scuola internazionale di cinema, Imago Mortis segue le vicende del giovane Bruno, uno studente che ha da poco tragicamente perso la famiglia. Sarà lui, casualmente, ad imbattersi in una serie di prove ed a scoprire man mano i pezzi di un mosaico che riguarda uno strano strumento. Tormentato da visioni e sogni, durante i quali gli appare un ragazzo che sembra volergli comunicare qualcosa, Bruno si troverà a vivere una vicenda fosca, che affonda le sue radici nel XVII secolo, quando lo scienziato Girolamo Fumagalli, ossessionato dall’idea di catturare le immagini, compì una serie di esperimenti volti a prelevare l’immagine direttamente dalla retina di una persona uccisa.
Fumagalli era convinto che nell’occhio umano rimanesse immortalata l’ultima immagine vista prima di morire. Per rendere possibile la cattura di tale immagine, egli mise a punto uno strumento chiamato tanatoscopio, e per i suoi esperimenti si macchiò di una serie di omicidi che venivano compiuti mediante una sorta di casco che costringeva la vittima a tenere gli occhi sbarrati e che provocava la morte spezzando l’osso del collo. Bruno verrà a contatto con tale strumento ed attirerà su di sé le attenzioni delle persone di maggior rilievo della scuola di cinema, oltre che di alcune figure di contorno che hanno avuto un ruolo nella realizzazione di una pellicola girata molti anni prima dal rettore della scuola, e dietro alla quale si cela un segreto ed una storia di ossessioni ed ambizioni.
Dal punto di vista registico, Imago Mortis si mantiene fedele ed attinente al genere trattato, offrendo una ritmica abbastanza lenta, con carrelli nervosi durante le fasi concitate e tanti primi piani strettissimi. Impeccabile dal punto di vista della fotografia, perde qualche punto nella recitazione e nello sviluppo dei personaggi, alcuni dei quali hanno caratteri molto marcati sfociando di tanto in tanto nell’eccesso. Il doppiaggio in italiano risulta essere scolastico, penalizzando in parte i dialoghi, e la trama, affascinante per premesse e sviluppata in maniera concentrica ed avvolgente, si conclude lasciando qualche punto interrogativo e la sensazione che manchi qualcosa.
Il pathos creato non è elevatissimo, ed il livello di attenzione dello spettatore può essere variabile: c’è chi riterrà il film noioso, chi invece lo seguirà con interesse, in base anche al proprio background letterario e culturale. Va dato merito a Bessoni di aver dato vita ad un film “vivo”, credibile nei suoi luoghi, con personaggi ben riconoscibili ed atmosfere ricreate ad arte. Come già detto, la pellicola nel suo complesso soffre di una recitazione non entusiasmante, elemento che le fa perdere di incisività, ma ciò non affossa l’opera in maniera tale da evitarle di assestarsi su una sufficienza piena, e lascia le porte aperte alla curiosità ed all’interesse per la prossima fatica del regista, dal titolo Krokodyle.