Primo film prodotto da Milton Subotsky e Max Rosenberg, che di lì a poco avrebbero fondato la Amicus, casa di produzione di film horror a episodi che rivaleggiò con la più famosa Hammer. La Città Dei Morti si avvale di uno dei volti storici proprio della Hammer Film Productions, sir Christopher Lee, nel suo consueto ruolo ambiguo e luciferino.
La trama: il professor Alan Driscoll tiene un corso sulla stregoneria che affascina fortemente una delle sue alunne, Nan Barlow. La ragazza, per le vacanze invernali, decide di recarsi nella cittadina di Whitewood, nel New England, teatro di un processo per stregoneria affrontato durante il corso, per provare a saperne di più consultando le fonti direttamente all’origine. Arrivata nel piccolo villaggio, che sembra essere rimasto al diciassettesimo secolo, alloggia presso la Raven’s Inn, la locanda sorta nel luogo in cui fu messa al rogo la strega Elizabeth Selwyn nel 1692.
L’atmosfera del villaggio è quanto di più classico potreste immaginare rispetto a uno scenario horror: nebbia perenne che si alza dal terreno; figure inquietanti che passeggiano e, appena incrociano uno straniero, si fermano a fissarlo; una chiesa abbandonata con un vecchio reverendo cieco e minaccioso; litanie e canti notturni da parte di figure incappucciate. Elementi classici e stereotipati che costruiscono un contesto ambientale comunque fascinoso.
La prima e unica svolta su un canovaccio invero assai semplice arriva a circa metà film, quando la protagonista viene sacrificata nella notte della Candelora. Da quel momento in poi il film perde il suo personaggio principale e si sviluppa in una maniera quasi analoga al contemporaneo Psycho, uscito nello stesso anno. Ci sono diverse discussioni, ancora oggi, sulla possibilità che uno dei due film abbia potuto influenzare l’altro, al di là delle differenze estetiche e di genere, ma la contemporaneità quasi assoluta e la distanza geografica fanno pensare che si tratti di un caso.
Un film come La Città Dei Morti, visto dallo spettatore d’oggi, non può offrire brividi per via di una semplicità estetica, di personaggi e di trama estrema, che inevitabilmente porta a una sospensione del coinvolgimento. Tuttavia, nonostante la distanza rispetto ai canoni dei nostri giorni, la trovata a metà film smuove una sceneggiatura che altrimenti sarebbe scivolata via in maniera totalmente lineare e senza sussulti. Peccato per qualche personaggio di troppo che nulla aggiunge agli sviluppi e alle interazioni. Apprezzabile, invece, il modo in cui Moxey, qui al debutto, sia riuscito a ricreare un inquietante villaggio con un set scarnissimo e un po’ di nebbia, segno di buona maestria tecnica.