La carriera dietro la cinepresa di Lucio Fulci è quantomai varia ed interessante. Regista poliedrico e continuamente desideroso di rinnovarsi, ha attraversato tutte le fasi del cinema di genere italiano, dal 1959 al 1991, anni di uscita del suo primo e del suo ultimo film. In questo lasso di tempo di oltre trent’anni, il regista romano ha avuto modo di portare al successo il duo comico di Franco e Ciccio, che ha diretto in oltre dieci pellicole, si è cimentato nello spaghetti western, nel giallo/thriller all’italiana, per poi scoprire un amore viscerale per l’horror. Su queste pagine, oltre al decennio horror di Fulci, ci si occuperà anche di alcuni dei suoi thriller violenti degli anni Settanta.
Paura Nella Città Dei Morti Viventi è in realtà la seconda incursione nell’horror puro da parte del regista, e segue il successo ottenuto da Zombi 2, primo esperimento quasi casuale: Fulci fu infatti chiamato a sostituire Joe D’Amato per quello che nelle intenzioni doveva essere una copia di Zombi di Romero. Tuttavia, il film dimostrò una vena personale che spinse immediatamente a rigiocare la carta dello splatter, che ha avuto nella cosiddetta Trilogia della morte il suo punto massimo. Ed è proprio il film di cui andiamo ad occuparci ad aprire questo ideale trittico dedicato alla morte ed alla paura.
La prima sequenza della pellicola mostra un prete che cammina nel cimitero di Dunwich – evidente citazione di Lovecraft– e si impicca. Tale scena viene vista da una medium di New York durante una seduta spiritica, e si comincia ad intuire come quel gesto avrebbe aperto le porte dell’oltretomba, permettendo ai morti di tornare a camminare sulla terra, nella più classica delle trame sugli zombi. Con una narrazione minimale e spesso anche abbastanza slegata, Fulci guida lo spettatore in un universo raccapricciante in cui il terrore deriva dalle situazioni e nei contesti più disparati: seppellimenti prematuri, interiora rigurgitate interamente, crani spappolati, un uragano di vermi, cadaveri che si materializzano nelle case e prendono vita seminando il panico, antiche profezie che indicano una sola via di salvezza da tutto quello che sta avvenendo. Fulci gioca perennemente sul filo del raccapriccio e della paura più subdola, riuscendo in entrambi i casi a raggiungere picchi notevoli e finendo per sconcertare lo spettatore più navigato. Il tutto si risolverà in un finale lungo ma mal concepito, unico autentico punto debole dell’opera.
La sequenza della ragazza che, mentre in macchina amoreggia col proprio ragazzo, guardando fuori dal finestrino scorge la figura del prete che si era impiccato che la fissa minaccioso ed immobile, è uno dei momenti più forti del film. Infatti, come sotto ipnosi, non riesce a spostare lo sguardo dagli occhi famelici del morto vivente: inizia dapprima a lacrimare sangue, dopodiché spalanca la bocca e rigurgita tutti gli organi interni dalla bocca, in una scena raccapricciante il cui audio è stato utilizzato dalla gore/grind metal band svedese dei Regurgitate come intro di un loro album.
Missione compiuta dunque per Fulci, la cui evidente tensione verso il macabro ed il sanguinolento lo colloca immediatamente tra i registi estremi di maggior rilevanza del panorama di inizio anni Ottanta. A dispetto di una trama non certamente brillante ed entusiasmante, e di un finale clamorosamente mediocre ed insensato, il collage delle situazioni e delle scene va a costituire un’opera che riesce nell’intento di terrorizzare e disgustare. Da segnalare un cameo di Michele Soavi, che da lì a qualche anno si sarebbe a sua volta cimentato dietro la macchina da presa con una serie di horror, e dello stesso Fulci.
Nota: Quentin Tarantino, adoratore del cinema italiano di genere, ha omaggiato Paura Nella Città Dei Morti Viventi in due occasioni. In Kill Bill vol. 1 Gogo Yubari muore piangendo lacrime di sangue, mentre nel secondo volume la sposa viene seppellita viva.
Paura Nella Città Dei Morti Viventi è in realtà la seconda incursione nell’horror puro da parte del regista, e segue il successo ottenuto da Zombi 2, primo esperimento quasi casuale: Fulci fu infatti chiamato a sostituire Joe D’Amato per quello che nelle intenzioni doveva essere una copia di Zombi di Romero. Tuttavia, il film dimostrò una vena personale che spinse immediatamente a rigiocare la carta dello splatter, che ha avuto nella cosiddetta Trilogia della morte il suo punto massimo. Ed è proprio il film di cui andiamo ad occuparci ad aprire questo ideale trittico dedicato alla morte ed alla paura.
La prima sequenza della pellicola mostra un prete che cammina nel cimitero di Dunwich – evidente citazione di Lovecraft– e si impicca. Tale scena viene vista da una medium di New York durante una seduta spiritica, e si comincia ad intuire come quel gesto avrebbe aperto le porte dell’oltretomba, permettendo ai morti di tornare a camminare sulla terra, nella più classica delle trame sugli zombi. Con una narrazione minimale e spesso anche abbastanza slegata, Fulci guida lo spettatore in un universo raccapricciante in cui il terrore deriva dalle situazioni e nei contesti più disparati: seppellimenti prematuri, interiora rigurgitate interamente, crani spappolati, un uragano di vermi, cadaveri che si materializzano nelle case e prendono vita seminando il panico, antiche profezie che indicano una sola via di salvezza da tutto quello che sta avvenendo. Fulci gioca perennemente sul filo del raccapriccio e della paura più subdola, riuscendo in entrambi i casi a raggiungere picchi notevoli e finendo per sconcertare lo spettatore più navigato. Il tutto si risolverà in un finale lungo ma mal concepito, unico autentico punto debole dell’opera.
La sequenza della ragazza che, mentre in macchina amoreggia col proprio ragazzo, guardando fuori dal finestrino scorge la figura del prete che si era impiccato che la fissa minaccioso ed immobile, è uno dei momenti più forti del film. Infatti, come sotto ipnosi, non riesce a spostare lo sguardo dagli occhi famelici del morto vivente: inizia dapprima a lacrimare sangue, dopodiché spalanca la bocca e rigurgita tutti gli organi interni dalla bocca, in una scena raccapricciante il cui audio è stato utilizzato dalla gore/grind metal band svedese dei Regurgitate come intro di un loro album.
Missione compiuta dunque per Fulci, la cui evidente tensione verso il macabro ed il sanguinolento lo colloca immediatamente tra i registi estremi di maggior rilevanza del panorama di inizio anni Ottanta. A dispetto di una trama non certamente brillante ed entusiasmante, e di un finale clamorosamente mediocre ed insensato, il collage delle situazioni e delle scene va a costituire un’opera che riesce nell’intento di terrorizzare e disgustare. Da segnalare un cameo di Michele Soavi, che da lì a qualche anno si sarebbe a sua volta cimentato dietro la macchina da presa con una serie di horror, e dello stesso Fulci.
Nota: Quentin Tarantino, adoratore del cinema italiano di genere, ha omaggiato Paura Nella Città Dei Morti Viventi in due occasioni. In Kill Bill vol. 1 Gogo Yubari muore piangendo lacrime di sangue, mentre nel secondo volume la sposa viene seppellita viva.