Non capita molto frequentemente che una produzione thailandese giunga da queste parti e sbarchi al cinema, quindi è quasi dovuto renderle omaggio degnandola di considerazione.
Ghost story di stampo marcatamente orientale, Shutter ricalca gli stereotipi delle grandi esportazioni della terra del Sol Levante, vale a dire Ring e The Eye, prendendo dal primo la rappresentazione visiva dello spirito/fantasma, dal secondo l’ossessione per l’obiettivo fotografico, ritenuto in grado di cogliere sfumature ed immagini nascoste all’occhio umano.
La vicenda qui narrata prende il via da un incidente d’auto, in cui una giovane coppia di fidanzati investe una ragazza, che rimane probabilmente morta sull’asfalto. Tuttavia, di questo episodio non parleranno né i tg né i giornali, e non verrà segnalato alcun ricovero per incidente stradale né morte sulla strada quella notte. I due giovani, dopo l’accaduto, lasciano il corpo inerme della ragazza e decidono di allontanarsi per evitare problemi, ma da lì parte una sequela di eventi che porta al suicidio dei tre amici del ragazzo, e ad una sorta di persecuzione da parte di uno spirito, che si manifesta in molte foto scattate da Tun stesso, che di mestiere fa il fotografo. Lui e la ragazza, Jane, compiono delle ricerche e giungono alla conclusione che si tratti di una ex fidanzata di Tun, che scoprono essere morta suicida tempo addietro. Ed è quindi il suo spirito inquieto a perseguitare il ragazzo, che nel concitato finale si scopre essersi macchiato di un orrido misfatto ai danni della povera Natre, con la collaborazione dei suoi amici.
Il film poggia insomma su una trama piuttosto ovvia, con un fantasma vendicativo che non placherà la sua sete di sangue fin quando non avrà punito i colpevoli della disperazione che la portò al suicidio, ed è girato in maniera esageratamente statica, con camera quasi sempre fissa, affidando la dinamicità delle sequenze al montaggio. Tutti i i momenti da tachicardia sono ampiamente anticipati da colonna sonora e cambio di atmosfera generale, e ciò sminuisce l’impatto e l’impressione che alcune fasi del film avrebbero potuto destare.
Nonostante questi difetti, però, i sobbalzi li farete eccome, per via di buone scelte proprio a livello di montaggio che esaltano e sottolineano gli attimi clou del film. Film che però naufraga in un paio di momenti così spudoratamente trash da lasciare basiti, ancor più in ragion del fatto che l’impostazione generale è molto seria. C’è da lavorare, insomma, anche in virtù di uno storyboard decisamente migliorabile: non è raro, infatti, che si passi da una scena all’altra senza un’apparente motivo e senza alcun tipo di spiegazione, rendendo a volte il film più un collage di scene col fine di spaventare piuttosto che una narrazione unitaria.