It – Stephen King

It
Release Date
1986
Titolo originale
It
Autore
Stephen King
Genere
soprannaturale, sotterranei, onirico
Casa editrice
Sperling & Kupfer
Pagine
1.248
Paese
USA
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A cosa serve parlare oggi, nel 2018, di un romanzo come It? Me lo sono chiesto nelle scorse settimane, dopo aver terminato la rilettura del libro. Credo che non serva, si è già detto e scritto tutto quanto fosse necessario dire e scrivere, forse di più. Tuttavia, ho deciso di aggiungere la mia goccia nel mare, più per ragioni di esperienza personale che per effettivo valore di quanto potrò dire.

It è il romanzo più famoso di uno degli scrittori contemporanei più popolari. Inoltre, è uno dei romanzi appartenenti al genere horror più famosi di tutti i tempi, a pieno titolo. Dall’anno della sua uscita, nel 1986, ha affascinato migliaia di lettori sparsi per il mondo, delineando una realtà vivida quanto immaginifica per molti divenuta indimenticabile.

La storia è ben nota: una raffigurazione del Male assoluto, proveniente dallo spazio profondo, alberga a Derry, una cittadina immaginaria del Maine. Ogni ventisette anni circa si risveglia e sazia il proprio appetito uccidendo e divorando esseri umani, con una certa predilezione per i più giovani. Un gruppo di sette ragazzini si trova a fronteggiare It nel 1958 ma non riesce a ucciderlo. Una promessa infantile li porta, ventisette anni dopo, a ritornare a Derry per sconfiggere una volta per tutte l’entità malvagia.

Come dicevo in apertura, non credo ci sia la necessità che si spendano molte parole sull’opera. Essa è monumentale per mole – oltre 1300 pagine nell’edizione con copertina flessibile della Sperling & Kupfer -, numerosità dei personaggi, profondità delle loro vicissitudini personali e familiari. Tutto fa da sfondo alla costruzione di personalità più o meno disadattate, con difetti fisici (l’obesità di Ben, l’asma di Eddie, la balbuzie di Bill), problemi di stampo razziale (le origine ebree di Stan e il colore della pelle di Mike), o di genere (Beverly). Tutti ultimi per ragioni diverse, tutti “perdenti”, come il nome che danno al club, tutti perseguitati dai bulli della scuola, tutti con uno o più problemi di stampo relazionale o con rapporti difficili se non burrascosi con le rispettive famiglie. Nella loro unione, nella estate inquieta del 1958, scavano e trovano una forza di gruppo che li porta a superare la soglia della fanciullezza e adolescenza, non senza ferite.

Ho letto It intorno ai sedici anni. Ora di anni ne ho qualcosa di più del doppio. Ho terminato di rileggerlo un mese fa, dandomi il tempo di riflettere su come fosse stata diversa la mia esperienza di lettore. Ciò che da ragazzino ho affrontato col fare sognante di chi si lascia prendere per mano da un narratore coinvolgente e appassionato come King, oggi l’ho guardato con gli occhi più critici di chi vuole analizzare la storia nelle sue pieghe. Ciò mi ha portato a una lettura più attenta e meno traslata sul piano emozionale, facendo emergere degli aspetti che mi hanno fatto riflettere.

Ricordo piuttosto bene quanto, da adolescente, mi fossi affezionato al club dei perdenti. La loro visione del mondo e delle cose era prossima alla mia, comprendevo le loro motivazioni e mi sentivo parte del gruppo; li accompagnavo e soffrivo con loro. Davo meno peso alle loro situazioni personali, quelle esterne rispetto al confronto con It. La seconda lettura, invece, mi ha affascinato di più proprio in quelle parti, in modo particolare nel malsano rapporto tra Eddie e la madre iperprotettiva e nelle atroci difficoltà vissute da Beverly con un padre irascibile e violento. Il paradosso è che mi hanno spaventato molto di più quelle vicende rispetto alle varie manifestazioni di It, che ho trovato davvero affascinanti e memorabili solo in un paio di casi.

Ciò che è venuto meno è anche il coinvolgimento nel corso del doppio confronto con It: entrambi i momenti hanno, a mio umile avviso, dei problemi di credibilità e coerenza, cose delle quali non mi ero affatto reso conto una ventina d’anni fa, e che ora hanno fatto calare la mia sospensione dell’incredulità. Così com’era capitato nel corso della prima lettura, ho trovato più intensa, coinvolgente e ricca la parte dei ragazzini; quella in età adulta invece l’ho ritenuta a tratti stanca e stiracchiata, priva della magia della prima parte. Forse perché, da adulti, si perde la capacità di vederla, quella magia.

Senza volerlo, mi ritrovo ad aver scritto un pezzo personale, che parla abbastanza poco del romanzo e molto delle mie sensazioni. Lo pubblicherò ugualmente, come una mia nota di viaggio su quella che è un’esperienza di lettura potente e, mi permetto di dire, addirittura inevitabile per qualsiasi amante del genere fantastico. It va molto oltre il romanzo dell’orrore. Al di là del fatto che li comprende tutti, raffigurando un’entità che è il Male supremo, che assume per ognuno di noi l’esatta forma in grado di terrorizzarci – It è, di fatto, la nostra paura più grande, non un generico mostro -, il romanzo si spinge ben oltre, inserendosi nel filone ricco e complesso dei romanzi di formazione, affrontando il tema con una delicatezza e sensibilità che, quando si parla di adolescenti e ragazzini, io ho trovato con questa forza e credibilità solo in Stephen King.

La sua è una capacità innata di calarsi nei corpi dei suoi piccoli protagonisti, di vivere le loro vite non filtrandole con lo sguardo di un adulto, ma con gli occhi sognanti e pieni di speranze di un ragazzino che si guarda intorno con stupore e paura. Non c’era bisogno di questa recensione, ne sono cosciente; mi auguro però che chiunque la legga ne colga il senso più autentico. Se avete letto il romanzo da ragazzini, rileggetelo; se non lo avete ancora letto, fatelo adesso. Vi lascerà qualcosa.