Aahhh, il dolce fascino degli horror d’annata! L’emozione nel leggere “Directed by Roger Corman”, un nome che per anni ho letto nei listoni di film horror e che da allora ho associato indissolubilmente alla trasposizione cinematografica dei racconti di Edgar Allan Poe. Nell’episodio in questione il racconto prescelto è La Sepoltura Prematura, facente parte, manco a dirlo, dei racconti del terrore magistralmente composti ed orchestrati dal maestro americano.
Chi, almeno una volta, non si è fermato anche solo per un istante a riflettere sull’indicibile orrore che si proverebbe qualora si finisse seppelliti ancora vivi? Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare il vostro risveglio all’interno di una bara, saldamente sigillata e deposta sotto terra, oppure murata dietro una lapide. L’oppressione, la claustrofobia, l’impossibilità di movimento, l’impotenza di tirarsi fuori da una situazione irreversibile, il terrore di una morte lentissima per asfissia. Elementi più che sufficienti per suscitare un terrore istintivo ed incontrollabile, che nel protagonista del film assumono i toni dell’autentica ossessione.
Ray Milland prende il posto di Vincent Price, fedelissimo di Corman che non poté prendere parte al film per ragioni contrattuali. Studioso di medicina, egli è dominato dal pensiero di un possibile seppellimento prematuro, idea che lo tormenta quotidianamente e che invade i suoi incubi ed ogni spazio possibile nella sua mente. Convinto che il padre fu sepolto vivo a causa di un attacco di catalessi, maturò la convinzione che la stessa sorte avrebbe potuto riguardargli. Il suo rimedio, dopo meditazioni e tormenti interiori, fu quello di lanciarsi nel progetto e nella costruzione di una tomba a prova di fuga, piena di meccanismi che, qualora si fosse svegliato dopo il seppellimento, gli avrebbero permesso di uscire facilmente dalla bara, di trovare nutrimento e luce, di poter suonare una campana per attirare l’attenzione e di avere vari meccanismi per aprire porte, finestre o addirittura il tetto per poter uscire e tornare alla vita.
Tuttavia, il suo matrimonio cominciava a risentire pesantemente della sua ossessione: egli viveva ormai quasi perennemente nella tomba che aveva costruito, e la moglie giunge al punto di imporgli un ultimatum. Posto di fronte alla scelta, l’uomo decide di dare un taglio netto con le sue paure, affrontandole di petto e facendo saltare in aria la propria tomba. Ma ovviamente il finale non farà che confermare i suoi timori e costringerlo ad affrontarli in forma se possibile anche peggiore.
La parte conclusiva dell’opera, a parere di chi scrive un po’ debole e artificiosa, si discosta nettamente da quella del breve racconto di Poe, nel quale il protagonista superava di slancio i suoi problemi, finendo per vivere un’esperienza da incubo che si rivelerà però essere solo una sensazione e non un reale seppellimento. Nel film invece Corman spinge sui triangoli amorosi e sulle vendette, sulle gelosie e sui ritorni dalla tomba, finendo per snaturare almeno in parte l’opera originale ma soprattutto fallendo il fondamentale obiettivo di ricreare una sequenza realmente claustrofobica. Nonostante ciò, il film procede bene tratteggiando in maniera convincente, anche se forse ancora più marcata del necessario, l’ossessione assoluta del protagonista di fronte al peggiore degli incubi.