
Diretto da Richard Stanley, Il colore venuto dallo spazio porta nel presente il racconto di Lovecraft. La prima scena crea un distacco dalla modernità, che rimanda a quello operato dalla famiglia Gardner, trasferitasi in una fattoria isolata. Nathan (Nicolas Cage) alleva gli alpaca, la moglie sta recuperando dopo le cure per il cancro e i figli provano ad adattarsi. Le cose vengono stravolte da un meteorite che cade nel cortile, portando con sé un’abbagliante luce tra il rosa e il viola. Oltre al colore, porta una strisciante mutazione, dapprima psicologica e poi fisica.
Film dall’innesco lento, diventa inesorabile dalla caduta del meteorite in poi, per diventare un vero e proprio body horror nella seconda metà. Pesca qualcosa da La cosa di Carpenter; presenti anche echi di Stuart Gordon e Brian Yuzna. Dietro all’impatto grafico dettato dalla fotografia e dalle fusioni di corpi, Stanley nasconde una riflessione amara sulle difficoltà dei rapporti interpersonali e sulla nostra incapacità di comprendere l’universo. Il tutto ammantato da una vena pessimistica tutt’altro che in linea con l’horror americano contemporaneo.
Le divagazioni esoteriche (la figlia maggiore dei Gardner) e sciamaniche (Ezra, l’uomo che vive nel bosco) sembrano vezzose e superflue, ma aggiungono mistero. Un paio di scene sono difficili da dimenticare. Nicolas Cage perfettamente a suo agio nel ruolo di un uomo che perde il controllo di sé e sfocia nella follia.