Profondo rosso (1975)

Anno di uscita
1975
Titolo originale
Profondo rosso
Regia
Dario Argento
Genere
serial killer, giallo
Cast
David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Macha Meril
Durata
126'
Paese
Italia
Voto
9.5

Finalmente. Quando si intraprende un percorso come quello che abbiamo iniziato ormai quasi quattro anni fa con la realizzazione di questo sito, da appassionati di cinema di genere si pensa immediatamente al momento in cui si tratteranno le uscite fondamentali, quelle amate, quelle conosciute a menadito, quelle viste e riviste fino alla sfinimento, o quelle viste una volta sola ma che non sono mai uscite dalla nostra mente. Profondo Rosso appartiene senza il benché minimo dubbio al gotha del cinema horror, rappresentandone una delle vette non solo all’interno dei confini italici. Visto per la prima volta circa quindici anni fa, è uno di quei film che senti sotto pelle e che si piantano nel cervello, in virtù di una serie di elementi che lo hanno reso un autentico cult movie.

Partiamo dal prologo, ovviamente: una nenia infantile ipnotica e che finirete per non dimenticare più viene spezzata da un urlo, mentre la telecamera indugia sulle scarpe di un bimbo che ha assistito alla scena e che si china per raccogliere il coltello insanguinato. Tale episodio, mostrato totalmente fuori campo ad eccezione delle infantili calzature, è e rimarrà il motivo portante del film, poiché la ricostruzione di ciò che è accaduto muoverà i fili di una vicenda di sangue e di follia che vi tirerà dentro atmosfere ormai note al pubblico argentiano. Ambientazione italica ma universale, personaggi che si sostituiscono alle classiche forze dell’ordine nel corso delle indagini, atmosfere da giallo teso. Ma stavolta il regista romano non lesina particolari sanguinolenti in quantità ben superiori rispetto al passato, e dà vita a momenti tesissimi ove regna una palpabile inquietudine. Tutto questo non sarebbe però sufficiente ad elevarlo al rango di pietra miliare se non combaciassero tanti altri aspetti.

Marc Daly, pianista inglese che insegna jazz al conservatorio, è testimone di un feroce delitto ai danni di una medium che, nel corso di un seminario sulla parapsicologia, aveva percepito la presenza in sala di una mente folle, che a suo dire aveva già ucciso e che lo rifarà. Marc si intrufola nella casa della vittima e, mentre percorre il corridoio in un piano sequenza da annali del cinema, vedrà per una frazione di secondo il riflesso del volto dell’assassino, confuso in un quadro di volti mostruosi, ma tuttavia non riuscirà a fissare il ricordo e l’immagine, finendo per brancolare nel buio fino al risolutivo finale. Un gran colpo di classe per Argento, che non ha paura di svelare l’identità dell’assassino fin dalle battute iniziali ad un occhio attento.

L’uccisione della medium innescherà una serie di eventi che porteranno la polizia e lo stesso Marc, aiutato dalla giornalista Gianna Brezzi, ad indagare, provocando le reazioni furiose dell’assassino. A differenza del passato, Dario Argento indugia sui particolari macabri degli omicidi, mostrando le ferite da taglio, gli impatti ed il sangue in dignitose quantità. Non è ancora il regista efferato che si vedrà di lì a poco, ma rispetto alla Trilogia degli animali è palese un inasprimento della violenza e del contenuto visivo delle uccisioni. Al di là di ciò, la cosa che stupisce è la consapevolezza tecnica del regista, giunto nel giro di poche anno a padroneggiare lo strumento espressivo fino a formulare meccanismi che, dopo i tre precedenti rodaggi, si elevano a stato dell’arte. Profondo Rosso è la summa stilistica, il testamento artistico di un caposaldo del cinema horror italico, e deve questi altisonanti riconoscimenti ad una costruzione pressoché perfetta della sceneggiatura, una sorta di mosaico che si completerà tassello dopo tassello e che nemmeno la sequela di twist finali riuscirà a far calare in quantità. Individuare l’assassino non sarà facile fino al termine della pellicola, e questo nonostante il gruppo di personaggi sia costituito da pochi elementi, chiaro segno di una cura superiore al dettaglio mista alla capacità di saper raccontare la vicenda con i tempi giusti, rendendo concitate solo le sequenze conclusive, indice di avvenimenti rapidi ed impetuosi.

Dario Argento fa uso del suo vezzo di “interpretare” il ruolo dell’assassino nelle riprese strette sulla mano guantata di nero, elemento distintivo che il regista seguiterà ad utilizzare anche nelle seguenti opere. Il film, col suo taglio credibile e realistico, si colloca come ideale spartiacque tra la fase più puramente giallo/thriller degli esordi e quella horror che prenderà il via con Suspiria. Volendo citare elementi non all’altezza del film, sicuramente si potrebbe far cenno all’assenza pressoché assoluta delle forze dell’ordine nonostante i casi di omicidi siano più d’uno: polizia assente, civili che accedono alla scena dei delitti con facilità disarmante, porte che vengono aperte a Mark in maniera un po’ troppo superficiale. Ed altrettanto irrealistica è la capacità dell’assassino di pedinare gli individui di suo interesse – quelli cioè che stanno indagando alla ricerca di maggiori indizi – scoprendo dove si trovano e conoscendo le mosse successive. Tali carenze fanno sì che si tolgano quei punti che non permettono alla pellicola di guadagnarsi la cifra tonda. Sappiate però una cosa: la nenia infantile ed il contesto al quale è associata, difficilmente riuscirete a toglierlo dalla mente. Io, dopo quindici anni, continuo a sentirla di tanto in tanto affacciarsi alla mia mente, ricordandomi quanto mi piacque il film la prima volta che lo vidi e quanto continui a piacermi. Un must assoluto, non averlo mai visto è un vero delitto per qualsiasi appassionato del genere.

Profondo rosso (1975)
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